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Il Mito del Marmo di Carrara

L'articolo racconta la storia delle cave di marmo di Carrara, tra tradizione e modernità, evidenziando le sfide legate all'ambiente, al lavoro e alla sostenibilità.

Il Mito del Marmo di Carrara

La ruspa che carica scaglie di marmo bianco sul camion appare piccola da lontano, quasi un giocattolo, ma diventa enorme avvicinandosi a poche decine di metri. Nella cabina, un uomo la manovra con un joystick, spostando tonnellate di marmo senza troppa fatica, immerso in nuvole di polvere bianca. A Carrara, in Toscana, l’epica dei cavatori che sfidavano la montagna si è via via persa, sorpassata dalla tecnologia e dai cambiamenti nel settore.

La maggior parte dei blocchi viene lavorata e tagliata all’estero a costi irrisori, e il potere è concentrato tra poche grandi aziende così come i profitti dell’attività estrattiva. Le conseguenze, invece, sono di tutti: i residui della lavorazione del marmo inquinano i fiumi e le falde acquifere, le Alpi Apuane si consumano.

I proprietari delle cave sostengono che chi è contro le cave è contro il lavoro, opponendosi con decisione ai tentativi di limitare le escavazioni intensive, considerate non rispettose dell’ambiente da istituzioni e associazioni locali e nazionali da almeno due decenni.

Costringere la popolazione di Carrara a scegliere tra ambiente e lavoro è un ricatto occupazionale che dura da anni ed è sempre stato efficace in un territorio con un bisogno urgente di posti di lavoro, soprattutto per i giovani.

Negli anni venti del Novecento, al monte lavoravano ventimila persone, ora ne sono rimaste circa seicento e continuano a diminuire, mentre gli affari delle cave aumentano. Nonostante una maggiore consapevolezza sulla necessità di preservare le Alpi Apuane limitando l’attività estrattiva, Carrara rimane ostaggio del mito del marmo.

Carrara, insieme alla vicina Massa, si trova nella parte nord della Toscana, non molto distante dalla Liguria e dal confine con l’Emilia. Le cave sono visibili dall’autostrada lungo la costa tirrenica, come macchie bianche tra il marrone più scuro delle Apuane. Qui da due millenni gli abitanti, ora poco più di 60mila, subiscono il fascino del marmo.

Le prime cave risalgono al I secolo avanti Cristo, e all’epoca si estraeva con attrezzi rudimentali come picconi e piccozze, con un grande dispendio di tempo ed energie. Il marmo di Carrara, considerato il più pregiato al mondo già più di duemila anni fa, è noto per la sua purezza e finezza. Il marmo statuario, il più ambito tra i marmi, è di colore bianco brillante con poche venature grigie ed è utilizzato per realizzare statue.

L’unicità del marmo di Carrara ha permesso alle cave di prosperare, mentre molte miniere e cave nel resto d’Italia venivano gradualmente dismesse e abbandonate. Lo sviluppo della tecnologia ha reso tutto più semplice, passando dall’uso di picconi all’esplosivo, al filo elicoidale e infine al filo diamantato, utilizzato dalla fine degli anni Settanta.

Il filo diamantato, un cavo di metallo con perle di diamante sintetico, ha rivoluzionato l’estrazione del marmo, aumentando la quantità estratta e migliorando le condizioni di lavoro e la sicurezza. La globalizzazione delle merci e lo sviluppo dei trasporti hanno incrementato la domanda di marmo sul mercato internazionale, facilitando il trasporto verso paesi dove il marmo viene lavorato a costi inferiori.

Una cava dismessa
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L’industria ha iniziato a sfruttare le cave in modo intensivo anche per l’utilizzo del carbonato di calcio presente nel marmo in vari settori, come la produzione di cemento, l’agricoltura, l’industria alimentare e cosmetica, le cartiere e persino nei dentifrici come sbiancante.

Attualmente, solo l’1% del marmo di Carrara viene utilizzato per opere d’arte, mentre il 20% finisce sul mercato sotto forma di lastre, piani cucina, piastrelle e pietre ornamentali. Il restante 75% viene ridotto in polvere per diventare carbonato di calcio.

Negli ultimi anni, geologi, sociologi e attivisti hanno studiato lo sviluppo incontrollato delle cave dovuto in buona parte all’industria del carbonato di calcio. Il termine “estrattivismo” è stato introdotto per definire lo sfruttamento e la depredazione del territorio in nome della crescita economica, senza rispetto per l’ambiente e le persone che lo abitano.

Le Alpi Apuane sono state fortemente impattate dall’attività estrattiva, con la riduzione della montagna e l’inquinamento delle acque. Le associazioni ambientaliste e i collettivi hanno cercato di sensibilizzare la popolazione sulle conseguenze ambientali dell’estrazione del marmo, ma si sono scontrati con la resistenza degli interessi economici legati alle cave.

Un addetto segna un blocco di marmo nella cava Cima di Gioia nel 1955
Un addetto segna un blocco di marmo nella cava Cima di Gioia nel 1955
Keystone/Getty Images

La situazione delle cave e dell’ambiente circostante è stata oggetto di dibattiti e manifestazioni, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche legate all’attività estrattiva e all’inquinamento ambientale.

La gestione delle cave e il rispetto dell’ambiente sono diventati temi centrali di discussione, con posizioni divergenti tra proprietari delle cave, associazioni ambientaliste, istituzioni pubbliche e popolazione locale.

La sindaca di Carrara ha sottolineato la necessità di trovare un equilibrio tra l’economia basata sul marmo e la tutela dell’ambiente, proponendo una diminuzione graduale dell’estrazione per favorire un’alternativa economica sostenibile.

La transizione verso un modello economico più sostenibile è un processo complesso e controverso, che coinvolge diversi attori e interessi. La sfida per Carrara è trovare un modo di conciliare lo sviluppo economico con la salvaguardia dell’ambiente e del territorio, superando il mito del marmo e cercando soluzioni innovative e sostenibili per il futuro della città e delle sue cave.

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  • PublishedMarch 24, 2024