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Operazione militare israeliana all’ospedale al Shifa di Gaza

Israele conclude operazione militare all'ospedale al Shifa di Gaza, suscitando critiche internazionali per danni e vittime. Carenza di risorse mediche e umanitarie in aumento.

Operazione militare israeliana all’ospedale al Shifa di Gaza

Lunedì, l’esercito israeliano ha confermato il suo ritiro dall’ospedale al Shifa, il più grande della Striscia di Gaza, annunciando la conclusione dell’operazione militare avviata circa due settimane fa. Durante l’azione, sono stati uccisi o arrestati centinaia di miliziani di Hamas. Situato nei pressi della città di Gaza, nel nord della Striscia, l’ospedale è composto da diversi edifici, molti dei quali sono stati distrutti e resi inagibili, come mostrano foto e video circolanti online.

Fin dall’inizio del conflitto nella Striscia di Gaza lo scorso ottobre, Israele ha accusato Hamas e altri gruppi radicali palestinesi di utilizzare gli ospedali come basi operative militari. Tuttavia, tali attacchi sono stati fortemente criticati dalla comunità internazionale poiché mettono a rischio la vita dei pazienti e del personale sanitario, già in grave difficoltà a causa della carenza di acqua, medicine e strumenti medici.

Secondo il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, nell’operazione sono deceduti 21 pazienti. Altri civili sono stati uccisi durante i combattimenti, ma il numero esatto delle vittime non è ancora chiaro poiché alcuni corpi potrebbero essere sepolti sotto le macerie.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che i soldati israeliani hanno eliminato 200 uomini armati all’interno dell’ospedale, mentre il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari ha riferito che 900 persone sospettate di terrorismo sono state arrestate, con accuse confermate per 500 di loro. Tuttavia, al momento non è possibile verificare in modo indipendente l’identità di queste persone e la validità delle accuse a loro carico.

Israele ha affermato di aver eliminato diversi membri di alto rango di Hamas e del Jihad Islamico, oltre a rinvenire numerose armi e documenti di intelligence appartenenti alle due organizzazioni all’interno degli edifici ospedalieri.

Durante l’attacco all’ospedale, Israele ha mantenuto un riserbo sulle operazioni in corso, ma secondo fonti giornalistiche internazionali, l’esercito israeliano ha combattuto intensamente nei corridoi e nei cortili dell’edificio per diversi giorni.

Nei primi giorni dell’attacco, Amer Jedbeh, un chirurgo dell’al Shifa, ha denunciato che l’energia elettrica e le forniture d’acqua erano state interrotte dall’esercito israeliano, impedendo ai medici di svolgere il loro lavoro regolarmente. Ha raccontato di essere stato costretto a operare con mezzi di pronto soccorso, senza elettricità né acqua, a causa dei danni subiti dall’edificio a seguito di un missile.

L’esercito israeliano ha smentito di aver attaccato pazienti e personale medico, affermando di aver creato un percorso sicuro per consentire loro di lasciare l’ospedale. Tuttavia, le condizioni di molti pazienti rendevano impossibile un’evacuazione sicura.

Mohammed Mahdi, un palestinese che è tornato all’ospedale dopo la fine delle operazioni, ha riferito che molti edifici dell’ospedale sono stati bruciati o crollati. Taysir al-Tanna, un chirurgo che vi lavorava, ha dichiarato che il pronto soccorso e i reparti di ostetricia e chirurgia sono stati gravemente danneggiati.

Prima dell’annuncio del ritiro israeliano, il direttore dell’OMS, Ghebreyesus, aveva segnalato che nell’ospedale al Shifa erano presenti oltre un centinaio di pazienti, tra cui quattro bambini e 28 persone in condizioni critiche. Tuttavia, la struttura non disponeva più di pannolini e acqua.

L’ospedale era già stato attaccato dall’esercito israeliano a novembre, ma le prove presentate all’epoca per giustificare l’azione erano state considerate insufficienti. Da allora, la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza si è ulteriormente deteriorata, con un numero crescente di pazienti e risorse mediche sempre più scarse a disposizione dei pochi medici rimasti.

Dopo l’attacco iniziale, molti civili palestinesi avevano abbandonato il nord della Striscia per rifugiarsi a sud, soprattutto a Rafah, ma migliaia di persone erano rimaste nella zona settentrionale, compresa la città di Gaza.

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