Scienze

Tomografia sismica rivela segreti della Caldera dei Campi Flegrei

Studio innovativo svela movimenti del magma e rischi vulcanici

Tomografia sismica rivela segreti della Caldera dei Campi Flegrei

Un’innovativa tecnica di tomografia sismica ha permesso, per la prima volta, di osservare la struttura interna della Caldera dei Campi Flegrei. Il risultato è frutto del lavoro dei ricercatori dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dell’Università di Milano Bicocca, e come descritto nello studio pubblicato sulla rivista Earth and Planetary Science Letters, ha consentito di ricostruire i movimenti del magma fino a una profondità di sei chilometri, e potrebbe quindi rivelarsi prezioso in futuro per monitorare l’attività sismica e vulcanica dell’area.

Il nuovo approccio è un’evoluzione della più tradizionale tomografia sismica, cioè dello studio della morfologia del sottosuolo basato sull’analisi del tempo di propagazione delle onde sismiche. Con le tecniche tradizionali, infatti, è difficile ottenere una risoluzione soddisfacente al di sotto di una certa profondità. Mentre quello descritto nel nuovo studio, che i ricercatori definiscono un approccio probabilistico non lineare, ha permesso di studiare con precisione i cambiamenti avvenuti all’interno della caldera tra il 1984 e il 2022, fino a una profondità di sei metri.

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Cosa c’è sotto i Campi Flegrei

Proprio questa capacità di studiare l’evoluzione nel tempo delle zone di accumulo magmatico è uno dei principali elementi di novità, frutto di un’intuizione che ha permesso di sviluppare quella che i ricercatori definiscono una tomografia sismica in 4D, intesa come mappatura delle tre dimensioni dello spazio più la quarta, che è appunto il tempo.

Lo studio ha permesso così di confrontare quanto accaduto nella precedente crisi bradisismica (cioè periodi in cui il suolo nella caldera dei Campi Flegrei inizia a sollevarsi, provocando terremoti), quella del 1982-1984, e l’attuale, iniziata nel 2005. E i risultati dimostrano che i due cicli, seppur coinvolgendo volumi differenti, sono stati entrambi caratterizzati da episodi di risalita e di accumulo di gas magmatici in sovrappressione nella zona centrale (i serbatoi posizionati a 2,5 e 3,5 chilometri di profondità), e di magma in profondità (nel serbatoio in precedenza non raggiungibile dalle analisi, posto a 5 chilometri di profondità), suggerendo che entrambi questi processi svolgono un ruolo importante nell’indurre l’unrest calderico.

L’approccio può quindi rivelarsi utile per monitorare nel tempo l’evoluzione del sistema vulcanico dei Campi Flegrei, e quindi potrebbe aiutare a prevedere in qualche modo i rischi per la popolazione, e per questo i ricercatori sono già al lavoro per estendere il loro modello anche agli anni successivi al 2022.

Intanto, la situazione nell’area della caldera è sotto stretto monitoraggio, dopo il terremoto dello scorso settembre che, con una magnitudo di 4,2 è risultato il più potente degli ultimi 40 anni. Mauro De Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv, ha ricordato in occasione di un incontro con i cittadini dell’area occidentale di Napoli che il sollevamento del suolo nei Campi Flegrei procede nell’ultimo mese ad un ritmo di 20 millimetri, il doppio rispetto a gennaio di quest’anno.

Questo vuol dire che il fenomeno, ma lo si vede anche dal numero di terremoti e della magnitudo, è in incremento, ha spiegato De Vito, intervistato prima dell’incontro. “È possibile anche che si verifichino terremoti un po’ più grandi, di magnitudo leggermente maggiore. Ma stiamo parlando sempre di magnitudo medie, non alte. Le magnitudo medie sono abbastanza tipiche di questo territorio, molto simili a quelle osservate negli anni 1982-1984 relativi alla precedente crisi bradisismica.”