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Suicidio assistito e legge: il caso di Marco Cappato davanti alla Corte Costituzionale

Il dibattito sulla legalità del suicidio assistito e la questione della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale

Suicidio assistito e legge: il caso di Marco Cappato davanti alla Corte Costituzionale

Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, è stato coinvolto in un procedimento giudiziario davanti alla Corte Costituzionale per aver accompagnato due persone in una clinica svizzera per morire. I casi riguardano il signor Romano, 82 anni, ex giornalista e pubblicitario, affetto da una grave forma di Parkinson, e la signora Elena Altamira, 69enne malata terminale di cancro. Dopo averli accompagnati in Svizzera, Cappato si era autodenunciato ai carabinieri ed è stato indagato per aiuto o istigazione al suicidio, in base all’articolo 580 del codice penale, che risale a una legge del 1930, come sottolineato dall’associazione Coscioni.

La procura aveva inizialmente chiesto l’archiviazione del caso, ma il giudice per le indagini preliminari Sara Cipolla ha deciso di sottoporre la questione alla Corte Costituzionale, sollevando la questione di legittimità costituzionale riguardo al reato di istigazione al suicidio. In particolare, si discute della punibilità di chi agevola il suicidio assistito di una persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili, che abbia espresso liberamente e consapevolmente la volontà di porre fine alla propria vita.

La Corte costituzionale, con una sentenza del 2019 nel caso di dj Fabo, ha stabilito che per accedere legalmente al suicidio assistito la persona deve essere in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, essere affetta da una patologia irreversibile che causa sofferenze insopportabili e dipendere da trattamenti di sostegno vitale. La definizione di “sostegno vitale” è ora al centro del dibattito: si tratta solo di essere collegati a macchine o include anche la dipendenza totale da altri per la propria esistenza, come nel caso di Romano e Elena?

La giudice ha evidenziato che il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, mancante nei casi di Romano ed Elena, potrebbe generare una discriminazione rispetto a una condizione personale accidentale legata al tipo di malattia. Si sottolinea l’importanza di garantire la liceità del suicidio assistito senza discriminazioni.