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Elezioni presidenziali in Iran: sfida tra riformisti e ultraconservatori

Pezeshkian e Jalili si contendono la presidenza in un contesto di tensioni e incertezze

Elezioni presidenziali in Iran: sfida tra riformisti e ultraconservatori

La resa dei conti è arrivata per l’Iran. Dopo il voto dello scorso 28 giugno, circa 61 milioni di iraniani sono chiamati alle urne oggi per il secondo turno delle elezioni presidenziali. In questa fase si scontrano il candidato riformista Masoud Pezeshkian e l’ultraconservatore Said Jalili, giunto secondo al primo turno. I risultati delle elezioni, indette dopo la morte di Ebrahim Raisi a metà maggio in un incidente di elicottero, saranno ‘esaminati’ dal Consiglio dei Guardiani.

Secondo i sondaggi pubblicati prima delle elezioni, Pezeshkian, politico considerato moderato e parte del fronte riformista, è in vantaggio sull’ultraconservatore Jalili. Secondo le rilevazioni di Ispa, società legata allo Stato, Pezeshkian ottiene il 49,5% dei consensi contro il 43,9% di Jalili, mentre il 6,6% degli intervistati è indeciso. Secondo la società Porsesh, il candidato riformista raggiunge circa il 53% dei consensi, mentre l’ultraconservatore si ferma al 41%, con il 6% degli aventi diritto ancora indeciso. Nel primo turno delle elezioni, venerdì scorso, Pezeshkian era arrivato primo con il 42,5% dei voti, mentre Jalili si era posizionato secondo con il 38,6% dei consensi.

Nel primo turno, ha votato meno del 40% degli aventi diritto, il dato più basso dopo la Rivoluzione islamica del 1979. La partecipazione è stata inferiore alle aspettative, ma il leader supremo Ali Khamenei ha sottolineato che ciò non significa che coloro che non hanno votato siano contrari al sistema. Questa dichiarazione mira a minimizzare la scarsa fiducia della popolazione nel regime iraniano a causa della situazione economica del paese e delle rigide restrizioni politiche e sociali, specialmente dopo le grandi proteste del 2022 seguite alla morte di Mahsa Amini.

Sia Pezeshkian che Jalili avevano già tentato in passato di raggiungere la presidenza. I due candidati rappresentano gli estremi opposti dello spettro politico iraniano. Ogni candidato potrebbe portare l’Iran su percorsi completamente diversi in un momento in cui la Repubblica islamica affronta delicati problemi nazionali e internazionali. Tra questi, un’economia in difficoltà a causa delle sanzioni internazionali, un movimento giovanile agitato e crescenti tensioni con Israele e gli Stati Uniti.

Le accese tensioni regionali, come il sostegno a Hezbollah e l’ostilità verso Israele, sollevano dubbi sul fatto che un presidente riformista possa effettivamente fare la differenza, tradendo così le speranze dell’Occidente. Questo perché il leader supremo iraniano ha l’ultima parola su tutte le decisioni del paese, compresa la politica estera. Pezeshkian sostiene che l’Iran debba ristabilire i rapporti con l’Occidente, compresi gli Stati Uniti, e accogliere investimenti stranieri attuando riforme sociali che lo rendano più accettabile a livello internazionale. Jalili, ex segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale, rappresenta le opinioni più estreme e isolazioniste della politica iraniana, sostenendo che il paese debba garantire che la sua economia sia completamente autonoma e indipendente.