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L’assoluzione di Hakamada Iwao: il caso del detenuto giapponese dopo 56 anni

La storia di Hakamada, ex pugile condannato per omicidio, e la lotta per la verità

L’assoluzione di Hakamada Iwao: il caso del detenuto giapponese dopo 56 anni

Un detenuto giapponese, Hakamada Iwao, ex pugile oggi 88enne, è stato assolto dall’accusa di omicidio dopo aver trascorso quasi mezzo secolo nel braccio della morte. Il caso incredibile di Hakamada ha destato l’attenzione di molti, poiché è stato condannato 56 anni fa per aver sterminato una famiglia. Tuttavia, nel 2014 è stato rilasciato in attesa di un nuovo processo a causa dei dubbi sollevati sulla legittimità della sua condanna.

Oggi, in Giappone, si è tenuto l’atteso processo che ha portato alla liberazione dell’88enne. Il tribunale ha stabilito che tre prove cruciali erano state fabbricate per incolpare Hakamada dell’omicidio avvenuto nel 1968. Nonostante la sua assenza in aula a causa del deterioramento della sua salute fisica e mentale, Hakamada è stato rappresentato dalla sorella 91enne, Hideko Hakamada, che ha sempre creduto nella sua innocenza.

La storia di Hakamada risale al 1968, quando, a 32 anni, fu condannato per l’omicidio del suo capo, della moglie e dei loro due figli adolescenti. I quattro furono trovati morti per ferite da taglio nella loro casa nella prefettura di Shizuoka, che fu poi incendiata. La condanna a morte di Hakamada si basava su tracce di sangue trovate su capi di abbigliamento che corrispondevano ai gruppi sanguigni delle vittime e dell’imputato.

Nel corso degli anni sono emersi dubbi sulle prove e sulle confessioni estorte, mettendo in discussione l’integrità del sistema giudiziario giapponese. Nel 2014, un nuovo processo è stato concesso a Hakamada a causa delle prove falsificate dai procuratori. Dopo anni di lotta, oggi è giunta la sentenza che lo ha assolto da ogni accusa.

Durante il processo, il tribunale ha evidenziato che le prove a carico di Hakamada erano state manipolate, compresa la sua confessione e i capi di abbigliamento che indossava al momento dell’omicidio. Il giudice ha condannato il metodo dell’interrogatorio come disumano, mirato a infliggere dolore fisico e mentale per ottenere dichiarazioni.

Il caso di Hakamada ha sollevato dubbi sulle indagini dell’epoca, in cui le prove si basavano su vestiti macchiati di sangue trovati in una vasca di miso un anno dopo gli omicidi. La difesa ha sempre sostenuto che gli investigatori potessero aver piazzato i vestiti, poiché le macchie di sangue sembravano troppo vivide. Questa battaglia legale è stata definita senza fine dalla sorella di Hakamada, che ha combattuto per anni per dimostrare l’innocenza del fratello.

Hakamada è diventato il quinto individuo nella storia del Giappone a cui è stato concesso un secondo processo, concludendosi con l’assoluzione. La sua salute, compromessa dai decenni di detenzione, ha giocato un ruolo significativo nella decisione dei giudici. Con la sentenza odierna, si è concluso l’incubo di Hakamada durato 56 anni.

La pena di morte in Giappone gode di un ampio sostegno pubblico, con l’80% degli intervistati che la considera inevitabile secondo un sondaggio del 2019. Tuttavia, il caso di Hakamada potrebbe rilanciare il dibattito sull’abolizione della pena di morte in Giappone, uno dei pochi Paesi del G7 insieme agli Stati Uniti a mantenere la condanna capitale nel suo sistema giudiziario.