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La battaglia di Martina: il diritto al suicidio assistito e la lotta contro la sclerosi multipla

Quando la giustizia decide sul dolore e la dignità

La battaglia di Martina: il diritto al suicidio assistito e la lotta contro la sclerosi multipla

Martina Oppelli, una donna triestina di 49 anni, da due decenni convive con la sclerosi multipla. Otto mesi fa, l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) le ha negato il diritto al suicidio assistito. Tuttavia, il tribunale ha ordinato alla Asl di effettuare nuove valutazioni sulle condizioni di Martina, che nel frattempo sono peggiorate. Queste nuove verifiche dovranno essere completate entro 30 giorni, altrimenti l’azienda sanitaria dovrà pagare 500 euro al giorno a Martina per ogni giorno di ritardo, oltre alle spese di giudizio.

Un aspetto fondamentale per comprendere la situazione di Martina riguarda il trattamento di sostegno vitale necessario per accedere al suicidio assistito. La Asl ha negato a Martina il suicidio assistito poiché ha ritenuto che non fosse sottoposta a trattamenti di sostegno vitale. Tuttavia, in realtà, Martina ha bisogno di assumere una grande quantità di farmaci quotidianamente per alleviare le sue sofferenze insopportabili. L’avvocata Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’associazione Luca Coscioni e coordinatrice del collegio che assiste Martina, spiega che Martina utilizza la macchina della tosse a causa delle secrezioni bronchiali che compromettono la sua respirazione. Dipende completamente dagli altri per svolgere qualsiasi attività vitale.

Martina Oppelli ha lanciato un appello per poter morire con un sorriso sul viso nel suo Paese. L’intervento del tribunale ha evidenziato come l’azienda sanitaria non abbia considerato che la sclerosi multipla è una malattia progressiva che evolve nel tempo. Rispetto al momento del primo accertamento, sono passati circa otto mesi e Martina ha dimostrato che la sua condizione di salute è peggiorata. La decisione del tribunale dimostra una grande sensibilità nel riconoscere il dolore di una persona che, nonostante tutto, mantiene sempre un sorriso sul volto.

L’assenza di una legge sul suicidio assistito fa sì che siano i tribunali a garantire l’accesso a questo diritto. La politica non fornisce tempi certi alle persone che soffrono, costringendole a rivolgersi ai tribunali che, al contrario, indicano tempi precisi e vincolanti. Inoltre, l’azienda sanitaria è condannata a pagare una penale di 500 euro al giorno per ogni giorno di ritardo. Ancora una volta, sono i giudici a doversi sostituire all’inazione della politica.