Sciopero a oltranza nel distretto tessile di Prato: condizioni di lavoro disumane
Lavoratori cinesi costretti a turni estenuanti senza contratti regolari
Alcune aziende del distretto tessile di Prato a conduzione cinese hanno proclamato uno sciopero a oltranza, denunciando condizioni di lavoro disumane. Secondo il sindacato Sudd Cobas Prato-Firenze, i lavoratori sarebbero costretti a lavorare circa 80 ore a settimana, il doppio di quanto previsto dai contratti nazionali e ben oltre il limite di 48 ore stabilito dalla legge.
Le turnazioni di lavoro denunciate sono estenuanti, con sessioni di 12 ore al giorno, sette giorni su sette, senza regolari contratti di lavoro. I lavoratori delle aziende più piccole sarebbero i più penalizzati da queste condizioni.
Attualmente, cinque aziende a conduzione cinese sono coinvolte negli scioperi, con picchetti di protesta davanti ai loro stabilimenti. Tra queste, una fabbrica di taglio di cerniere su misura è stata oggetto di un’ispezione da parte dell’ispettorato per il Lavoro lo scorso luglio, che ha portato solo a contratti part-time, mentre gli operai continuavano a lavorare 12 ore al giorno, sette giorni su sette.
Analoghe situazioni si registrano in una stireria, dove i lavoratori non hanno mai ricevuto una busta paga, e in un’azienda di logistica dove si lavora senza contratto con orari proibitivi.
La protesta, simboleggiata dallo slogan “8X5”, che richiede otto ore di lavoro al giorno per cinque giorni a settimana, vuole dimostrare che c’è una comunità operaia e solidale pronta a fare la differenza nel contrastare il supersfruttamento nel distretto tessile di Prato.
Nonostante i dati percentuali che indicano un calo della produzione nel settore, migliaia di lavoratori continuano a svolgere turni di 12 ore al giorno, compresi i sabati e le domeniche, con particolare sfruttamento dei richiedenti asilo, spesso di etnia pakistana.
Il distretto tessile di Prato, il più grande d’Europa, ha registrato un calo del 10% nella produzione nei primi sette mesi del 2024 e del 25% in soli due anni, a causa dell’aumento dei prezzi delle materie prime, delle limitazioni alle esportazioni dovute alla guerra tra Russia e Ucraina e della crisi mediorientale che ha colpito il settore del “Made in Italy”.