Cronaca

Trasfusione di sangue infetto: condanna al Ministero della Salute

Il Ministero della Salute condannato a pagare oltre un milione di euro alla famiglia di un uomo deceduto a causa di una trasfusione di sangue infetto. Una sentenza che riconosce la responsabilità per omissione di controllo sul sangue.

Trasfusione di sangue infetto: condanna al Ministero della Salute

Il Ministero della Salute è stato condannato a pagare un risarcimento di oltre un milione di euro alla famiglia di D.L., un uomo deceduto a causa di una trasfusione di sangue infetto. Tutto ebbe inizio nel lontano 1985, quando D.L., allora 47enne, fu ricoverato al centro traumatologico ortopedico (CTO) di Napoli a seguito di una frattura al femore che richiese una trasfusione. Solo 15 anni dopo, nel 2000, scoprì di essere stato infettato dall’epatite C, un virus che lo condusse alla morte nel giugno del 2015, dopo atroci sofferenze.

Secondo i familiari, la trasfusione di sangue infetto sarebbe stata la causa dell’epatite C contratta da D.L. Questa tesi è stata accolta dai giudici del tribunale di Napoli, che hanno condannato il Ministero della Salute al pagamento di un maxi risarcimento. La sentenza prevede oltre 171mila euro per la moglie di D.L. (che al momento del decesso aveva 77 anni) e per i quattro figli della coppia (che nel 2018 avevano un’età compresa tra i 51 e i 43 anni), oltre a ulteriori 195mila euro per danno biologico terminale e danno catastrofale. In totale, più di un milione di euro, oltre alle spese di interesse e ai compensi per il legale e il consulente tecnico d’ufficio.

Il caso di D.L., originario di Mugnano di Napoli, ha avuto inizio nel 1985 con il ricovero per la frattura del femore e la successiva trasfusione di sangue presso il CTO, sangue che si è rivelato essere infetto dal virus dell’epatite C. La scoperta della malattia avvenne nel 2000 e portò alla morte dell’uomo all’età di 77 anni. Da quel momento, la moglie e i figli di D.L. hanno intrapreso una lunga battaglia legale per ottenere giustizia.

Il legale Piervittorio Tione ha spiegato che i familiari hanno agito in tribunale per ottenere il risarcimento da parte del Ministero della Salute sotto due profili: il danno ‘iure hereditario’, che riguarda i danni fisici e morali trasferiti agli eredi a seguito della morte del soggetto trasfuso, e il danno ‘iure proprio’, che rappresenta il danno morale non patrimoniale subito dai congiunti più stretti. Dopo un lungo iter processuale, la sezione del tribunale di Napoli ha riconosciuto la responsabilità del Ministero della Salute.

L’avvocato Tione ha sottolineato la particolarità del caso degli eredi di D.L., che sono riusciti a dimostrare il nesso tra la trasfusione del 1985, l’insorgenza dell’epatite, l’evoluzione in cirrosi e il decesso, portando alla condanna del Ministero per omissione di controllo sul sangue. Ora, dopo aver vinto la causa, resta il compito di spingere il Ministero a pagare il risarcimento ottenuto davanti al tribunale in tempi ragionevoli, sebbene nulla possa riportare indietro il caro perduto alla famiglia.